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Nuraghe Losa

Scorgiamo il nuraghe Losa, quasi un panettone sulla tavola, mentre percorriamo le superstrade Cagliari – Porto Torres o Abbasanta – Olbia e le rampe degli svincoli. Lo guardiamo, isolato e maestoso, mentre a passi svelti attraversiamo il cancello e la breccia di un grande muro di pietra che solo per un attimo lo nascondono. E lo guardiamo ancora, senza badare a dove mettiamo i piedi, mentre percorriamo il sentiero leggermente accidentato. Ci avviciniamo incuriositi a quello che sembra l’ingresso, e invece è un grosso edificio rotondo antistante. Andiamo oltre, lo aggiriamo; arriviamo sotto il bastione ciclopico quasi verticale, come l’alta prua di una nave; saliamo di corsa pochi gradini e siamo alla porta. Guardiamo dentro l’oscurità dell’interno, quasi per chieder permesso a chi è già dentro, anzi a chi è dentro da sempre.

A sinistra un andito lascia passare la luce: pochi metri più in là c’è una camera rotonda che ha perso la volta nel crollo. A destra invece, due passi e siamo dentro una camera perfettamente conservata, con una cupola alta e stretta, illuminata dalle luci artificiali al pavimento e da due minuscole feritoie di luce. Tornando sui nostri passi e lasciando alle spalle l’ingresso, troviamo una nicchia a destra, una rampa a sinistra e la grande camera centrale davanti.

La camera centrale, il cuore del nuraghe, con la sua rotondità ci fa girare sui nostri piedi tutt’intorno, dall’una all’altra delle tre nicchie disposte in croce, all’andito d’ingresso e di nuovo alle nicchie, poi dalla base alla sommità della cupola perfettamente conservata, e così via. Ammiriamo la sintesi di forza e perfezione, ardimento e razionalità. Cominciamo a pensare, a parlare con gli amici e con gli sconosciuti venuti da ogni parte del mondo, scambiamo domande e risposte in italiano, in inglese o in altre lingue, come possiamo: Chi? Che cosa? Quando? Come? Perché?

Ricordiamo che abbiamo visto una rampa: forse si può salire. Saliamo; il passo svelto rallenta per la pendenza, mentre giriamo sempre verso destra. Compiuto un intero giro, torniamo alla luce: siamo in un’altra camera più piccola e senza la volta, evidentemente collocata proprio sopra quella che poco prima avevamo ammirato al piano inferiore. La rampa continua più stretta e a cielo aperto, sempre a spirale: ora siamo sulla sommità scapitozzata della torre centrale, e intorno a noi vediamo il piano di calpestio superiore del bastione trilobato, cioè a forma di triangolo con gli spigoli smussati: al centro c’è la torre principale, e negli spigoli sono contenute le tre camere perimetrali. Infatti la guida ci spiega che dentro il lobo Nord c’è un’altra camera che non abbiamo visto, raggiungibile attraverso una scala chiusa al pubblico ma di cui vediamo l’imboccatura, oppure attraverso un ingresso indipendente dall’esterno.

Dall’alto abbracciamo un paesaggio sconfinato a 360 gradi. Anche se quello che vediamo non è più il paesaggio dei tempi nuragici, la sua potenza evocativa è enorme: in qualche modo, qualcosa di simile osservavano i protagonisti di quella storia umana, lontana e sempre viva, quando, forse con orgoglio, ammiravano i campi coltivati e i pascoli, le messi e il bestiame, gli uomini e le donne al lavoro, gli altri nuraghi e i villaggi della tribù, i boschi, i fiumi e le sorgenti, le vie e i confini. Duro e paziente lavoro di riscatto della terra dalla natura; i prodotti della terra integrati dall’industria del metallo e della pietra e dagli scambi con comunità vicine e con viaggiatori stranieri; crescente diseguaglianza sociale. Nemmeno allora era un paradiso.

Risvegliati dal fantasticare, finalmente ci accorgiamo che il nuraghe Losa non è isolato. Dall’alto scorgiamo altri grossi muri e torri addossati al bastione, poi muri più sottili e intricati qua e là, e infine una grande muraglia che circonda tutto il complesso, quella muraglia che avevamo oltrepassato frettolosamente per arrivare alla meta. Scendiamo e torniamo alla luce. Ora percepiamo chiaramente che il nuraghe non ha il solito cortile scoperto nella parte anteriore; girando ancora intorno al bastione scopriamo che ha un cortile posteriore, stretto tra il bastione e la cinta più esterna, collegato con la torretta del pozzo.

Il nuraghe Losa racconta diverse storie, diverse umanità che qui hanno vissuto e lavorato per molti secoli, mentre il mondo cambiava. La prima storia è quella dei costruttori e degli utilizzatori dell’età del bronzo (circa 1500-1200 a.C.), ed è quella che ci ha affascinato fino a questo punto.

Altre storie sono quelle degli abitanti dell’insediamento che circonda il nuraghe. La grande muraglia perimetrale racchiude un’area di ben tre ettari e mezzo. Anche se l’insediamento è stato scavato in minima parte, le abitazioni nuragiche, vere case complesse con ambienti per lo più circolari, si trovano tanto in prossimità del nuraghe quanto ai margini, lungo la muraglia, a Sud e a Nord-est. L’insediamento nuragico cominciò forse a formarsi poco dopo la costruzione del nuraghe, ma si sviluppò soprattutto nei secoli successivi (circa 1200-700 a.C.), quando il nuraghe ormai vecchio diventava soprattutto un simbolo d’identità e di appartenenza. La maggior parte dei ruderi oggi visibili, più superficiali e di pianta ovale o rettangolare, coprono il lunghissimo arco di tempo della terza vita del nuraghe Losa, dal periodo tardo-punico (circa 400-238 a. C.) al periodo romano repubblicano (238-27 a. C) e imperiale (27 a.C. – 476 d.C.), fino al periodo alto-medievale (476-800 d.C. circa).

Il nuraghe Losa ci racconta anche la storia dell’archeologia in Sardegna. Infatti fu il primo ad essere indagato sistematicamente con l’obiettivo della ricerca archeologica e della valorizzazione, che però si è realizzato nell’arco di più di un secolo. Nel 1893 lo Stato acquisì il nuraghe e una striscia di terreno circostante e avviò la prima campagna di scavo. Il grande nuraghe diroccato, che per secoli aveva visto solo pastori e greggi e per un certo periodo era stato disturbato a distanza dai costruttori della “strada reale” di Carlo Felice (1821-1825), ora veniva invaso fin nelle viscere da una turba di operai. Nel 1915, il Soprintendente Antonio Taramelli allargò le trincee ed esplorò in estensione le fasce a Sud e ad Est del monumento, avanzando a Nord e Nord-ovest fino al cortile posteriore. Dal 1970 a oggi, soprattutto per opera dei Soprintendenti Ferruccio Barreca e Vincenzo Santoni, il nuraghe Losa e la vasta area archeologica circostante sono stati recuperati e offerti alla fruizione del più vasto pubblico con numerosi interventi di scavo scientifico, studio, restauro e valorizzazione. Un ruolo importante è stato svolto anche dall’Amministrazione comunale di Abbasanta, che ha acquisito le aree circostanti all’originario nucleo statale, costituendo un vasto parco archeologico; inoltre l’accordo stipulato nel 2001 dalla Soprintendenza e dal Comune ha consentito l’avvio della gestione turistico-culturale integrata a cura della cooperativa “Paleotur”.

Alessandro Usai

Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio – Cagliari
da un’intervista pubblicata su Antas

tratto dal sito web nuraghelosa

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